VBRRII Interview: Nicola Vitiello

18, Marzo, 2024

Il secondo protagonista delle interviste di VBRRII è Nicola Vitiello, da Torre Annunziata, Napoli, ma trapiantato in Toscana all’età di 18 anni. Vitiello è Professore Ordinario presso l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dove ha co-fondato e dirige il laboratorio di robotica indossabile. È anche il co-fondatore di Iuvo, l’azienda spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna nata con la missione di portare sul mercato le tecnologie indossabili per l’assistenza al movimento umano. Per esempio, la tecnologia Mate, sviluppata in collaborazione con Comau: un portfolio di tecnologie sviluppate per supportare i lavoratori nei compiti più gravosi, come le manipolazioni al di sopra del capo e il sollevamento di carichi importanti.

Com’è nata l’idea?

Come sempre, in risposta a un’esigenza precisa: ridurre il sovraccarico muscolo-scheletrico di alcuni settori produttivi, e quindi anche la fatica percepita dai lavoratori. Gli esoscheletri sono già utilizzati in numerosi siti produttivi in tutto il mondo e la loro efficacia è stata dimostrata da alcuni studi strumentali. Il prossimo passo sarà dimostrare che a tutto questo si associa una riduzione dell’indice economico e, quindi, dell’incidenza di patologie muscolo-scheletriche. L’auspicio è che in futuro questi esoscheletri vengano considerati dei dispositivi di protezione individuale (DPI), capaci cioè di salvaguardare chi li indossa dai rischi per la salute e la sicurezza”. 

 

A che punto è il mercato delle tecnologie occupazionali?

Si trova in una fase ancora embrionale, ma aumenterà di dimensioni, così comeaumenteranno gli attori coinvolti. Queste tecnologie saranno sempre più specifiche rispetto agli ambiti produttivi e ci sarà bisogno di raccogliere dati che dovranno poi essere processati per rendere i processi produttivi più efficienti. La sfida resterà quella di sviluppare dispositivi il cui beneficio sia superiore al fastidio che procurano, e quindi leggeri, traspiranti e fedeli alle regole fondamentali della progettazione: per esempio conformi alla cinematica umana”.

 

Si penserà solo ai mestieri usuranti?

“Assolutamente no. Nell’immaginario collettivo solo chi svolge un mestiere logorante e faticoso corre dei rischi. In realtà, anche chi trascorre 8-10 ore seduto a una scrivania mette a repentaglio la salute. Per questo motivo, nasceranno tecnologie dedicate ai colletti bianchi, persone che hanno uno stile di vita sedentario e possono beneficiare di device che le stimolino a muoversi di più e meglio. È immaginabile che le persone avranno un compagno di vita indossabile che non si limiterà a ricordare loro di alzarsi dalla scrivania, ma li guiderà verso un esercizio fisico più salutare”. 

 

Si ritorna sempre al concetto di human functioning, la capacità dell’individuo di esprimere stesso nell’ambiente in cui vive?

Esatto. Quando la bioingegneria si mette a disposizione dell’individuo per proteggerne la salute, l’obiettivo è sempre il benessere. Un altro concetto chiave è quello dell’esposoma: con la robotica indossabile agiamo proprio sull’insieme dei fattori ambientali a cui l’individuo è esposto, cercando di aggiungere una componente tecnologica che riduca il carico fisico, sproni al movimento o, nel caso della riabilitazione, compensi un deficit neurologico,permettendo così alla persona di vivere appieno la socialità. Non a caso, il motto di Iuvo è: Wearable Technologies, Uplifted Life”.

 

 

A proposito di Medicina della Riabilitazione: in che modo le tecnologie indossabili ne stanno cambiando i modelli?

Li stanno cambiando da molto tempo, come spiego spesso ai miei studenti. Basti pensare che la robotica per la riabilitazione è nata negli anni ’90 a Palo Alto, in California, con il professor Peter Lum, un professore di bioingegneria che per primo ha sfruttato i robot per aiutare il terapista a svolgere la parte di riabilitazione più faticosa e ripetitiva. Ma non c’è una contrapposizione tra la riabilitazione tradizionale e quella con robotica: grazie al robot si crea un maggiore coinvolgimento del paziente, e così l’esercizio diventa più efficiente e divertente. Basti pensare alla realtà virtuale e ai serious gaming. Questo è il presente di alcune eccellenze come il Centro di Riabilitazione Villa Beretta, ma purtroppo non di tutte le strutture dove si fa riabilitazione”.

 

Quale sarà la sfida futura?

“Portare queste tecnologie a casa del paziente, assicurando la cosiddetta continuum of care”. 

 

L’ostacolo più grande sono i costi?

No, non sarei così riduttivo: quello economico è solo uno dei problemi. Bisogna anche fornire al paziente e al caregiver una certa supervisione: momenti di incontro a casa, almeno una volta ogni tanto, oppure occasioni di confronto in teleconferenza. Ma per arrivare a tutto questo, occorre sviluppare dei modelli e, prima ancora, dimostrare che esiste un reale beneficio per la persona, oltre che un impatto sul sistema sanitario. Fatto questo, la spesa sarà giustificata”.

 

Qual è la sfida di chi, come lei, sviluppa tecnologie indossabili per la riabilitazione?

Queste tecnologie sono per natura multidisciplinari. Prevedono la collaborazione traingegneri biomedici e biomeccanici, informatici ed elettronici, designer industriali, fisioterapisti neuroscienziati, psicologici e filosofi, che aiutano a dare un indirizzo etico allo sviluppo. In qualità di bioingegnere, io mi considero un facilitatore. Raccolgo idee e pareri tra le numerose professionalità coinvolte, per poi sintetizzare le diverse prospettive e arrivare a soluzioni che rispondano alle reali esigenze dei clinici”.

 

 

E per chi sta studiando per seguire il suo stesso percorso?

La sfida che fa la differenza è il confronto con i clinici, come medici fisiatri e fisioterapisti, e pazienti. Non a caso, quando ero un dottorando, circa 15 anni fa, i miei professori mi spronarono ad andare nelle cliniche riabilitative. Lo stesso faccio io con i miei studenti. Solo così si acquisisce quella sensibilità che ti permette di comprendere se un progetto rispondedavvero ai bisogni delle persone. Al contrario, se trascorri troppo tempo chiuso nel laboratorio di bioingegneria, rischi di sviluppare tecnologie perfette da un punto di vista ingegneristico, ma prive di aderenza alla realtà. Dunque, oltre ai corsi di laurea dedicati, per i bioingegneri del futuro servono opportunità di ricerca che permettano loro di immergersi nella clinica: una scelta che, come Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, portiamo avanti da tempo, per esempio con il Centro di Riabilitazione Villa Beretta”

 

 

Siamo il Presidio di Medicina Riabilitativa dell’Ospedale Valduce​

Via Nazario Sauro, 17 – 23845 Costa Masnaga (LC)

Tel. 031.8544211

E-mail: costa.ammin@valduce.it

E-mail:  segreteria@vbrrii.it